Nonostante l’esplosione delle intelligenze artificiali, le discussioni sui computer quantistici e sull’alba di una nuova era tecnologica, ancora un terzo del mondo non ha accesso a Internet. Lo mette in luce l’ultimo rapporto dell’International Telecommunication Union (ITU), agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di ICT e innovazione digitale. La stima dell’agenzia riporta che solo il 66% della popolazione mondiale, corrispondente a circa 5,3 miliardi di persone, ha la possibilità di connettersi alla rete. Questo lascia fuori quasi un terzo degli abitanti del pianeta, 2,7 miliardi di persone. Tra il 2021 e il 2022, gli utenti di Internet sono aumentati di circa il 7%. Nonostante questo, restano notevoli differenze regionali. Se in Europa quasi il 90% dei cittadini ha accesso alla rete, in Africa si arriva solo al 40%. Per coloro che vivono in aree remote e difficili da connettere alla rete globale, il problema non è soltanto il semplice accesso.
“Sebbene l’aumento del numero di persone che utilizzano Internet in tutto il mondo sia un fattore positivo, non dobbiamo pensare che la forte crescita registrata negli ultimi anni continuerà senza sosta. Coloro che ancora non usano Internet saranno i più difficili da portare online. Vivono in aree remote, spesso appartengono a gruppi svantaggiati e in alcuni casi non conoscono le potenzialità di Internet. Ecco perché il nostro obiettivo non deve essere solo la connettività universale, ma una connettività di qualità e per tutti”, ha scritto Doreen Bogdan-Martin, la direttrice dell’Ufficio per lo Sviluppo delle Telecomunicazioni dell’ITU, in un comunicato stampa.
Insomma l’obiettivo dell’agenzia e di altre istituzioni internazionali non è solo quello di allargare la platea degli utenti del World Wide Web, ma anche quello di assicurare una connessione stabile e di qualità, che permetta l’uso di strumenti digitali nella vita quotidiana.
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Il dilemma di come portare online le aree remote della Terra e le popolazioni più svantaggiate ha interessato anche i colossi privati della tecnologia. L’esempio popolare che può venire in mente è quello di Starlink, la costellazione di satelliti di proprietà di SpaceX. Dei satelliti di Starlink operativi sono stati lanciati per la prima volta nella bassa orbita terrestre (low earth orbit, anche conosciuta con la sigla LEO) nel 2019. L’obiettivo di Starlink è esplicito: portare la connessione a banda larga ad aree remote, includendo persone e popolazioni che ne sono escluse. Sul sito, la tecnologia è definita “ideale per località rurali e remote”. Al momento, secondo l’astronomo Jonathan McDowell, che traccia la presenza dei satelliti di SpaceX, ci sono 4704 satelliti in orbita, di cui 4672 funzionanti. La pagina è aggiornata periodicamente e l’ultimo aggiornamento nel momento in cui scriviamo è del 4 settembre 2023. Il piano a lungo termine di Musk è quello di portare in orbita la mega costellazione a una quota di 42000 satelliti.
Alla fine del 2022, gli utenti di Starlink sono arrivati a un milione. La riuscita di Starlink, soprattutto dopo che ha assunto un ruolo geopolitico importante durante la guerra in Ucraina (ne abbiamo parlato qui), ha aperto la via ad altri operatori privati attivi nello stesso campo. Uno dei competitor storici di Musk è OneWeb, azienda britannica con sede a Londra fondata nel 2012. Tre anni fa OneWeb era arrivata a un passo dal fallimento ed era stata salvata dall’intervento del governo inglese – da quel momento in poi l’azienda è stata in grado di attrarre investimenti significativi. A differenza della creatura di Musk, OneWeb vende servizi di internet satellitare ad aziende e organizzazioni, e non a singoli privati. Secondo il sito ufficiale dell’azienda, al momento si trovano in orbita bassa 648 satelliti. Di recente, a marzo del 2023, OneWeb ha inviato in orbita 36 satelliti. Secondo i manager della compagnia ci sarebbero ora le condizioni per portare connessione internet in ogni angolo del globo. OneWeb ha raggiunto un accordo con l’azienda francese Eutelsat per una fusione, che è a un passo dall’essere ufficializzata dal voto degli azionisti.
Nella corsa all’internet satellitare non poteva mancare Amazon. Nel 2019, il colosso dell’e-commerce ha fondato una società sussidiaria, Kuiper LLC, più nota come Project Kuiper. I satelliti di test del progetto non sono ancora stati lanciati in orbita – la data prevista per il lancio (dopo vari rinvii) è per l’autunno 2023. All’inizio di settembre, Project Kuiper ha annunciato una partnership con Vodafone e Vodacom, che prevedono di affidarsi alla futura rete di satelliti (in tutto Amazon punta a renderne operativi più di 3000 entro il 2029) per potenziare le proprie capacità 4G e 5G nelle zone meno connesse del pianeta, in particolare in Africa. Nonostante OneWeb possieda notevoli capacità tecniche, secondo l’esperto di tecnologie satellitari Tim Farrar, la vera sfida si gioca tra Amazon e Starlink. “Si tratta di un testa a testa tra grandi rivali”, ha detto in un’intervista a MIT Technology Review.
Il mercato dell’internet satellitare sta aumentando di dimensione. Nel frattempo gli Stati sono entrati in corsa. L’importanza strategica di fornire una connessione veloce e il più possibile ad ampio spettro geografico non riguarda solo il diritto di accesso alla rete. Ha anche un centralità strategica, per lo sviluppo industriale e militare. Una migliore connettività grazie ai satelliti può significare maggiori opportunità per lo sviluppo di applicazioni di nuova generazione, nel campo delle smart cities e dell’internet of Things, dicono gli analisti. Uno dei driver del mercato in espansione è anche la richiesta di servizi su cloud, un’area di importanza geopolitica crescente. Gli Stati vedono nelle tecnologie satellitari una possibilità di rendersi indipendenti dalle infrastrutture prodotte e operate all’estero e di garantirsi quindi autosufficienza.
L’Unione Europea si è mossa lanciando IRIS2, un progetto che sul sito ufficiale è definito “la risposta dell’Unione Europea alle pressanti sfide del domani, che offre maggiori capacità di comunicazione a utenti governativi e alle imprese, garantendo al contempo la banda larga ad alta velocità per risolvere il problema delle “zone morte” della connettività”.
Lanciato ufficialmente a marzo del 2023, dopo un accordo politico tra istituzioni europee ottenuto in tempi record (solo nove mesi di negoziazioni), IRIS2, acronimo di Infrastructure for Resilience, Interconnectivity and Security by Satellite, è il terzo programma satellitare gestito dall’Unione Europea. Gli altri due sono Copernicus e Galileo, rispettivamente dedicati all’osservazione della Terra e alla navigazione – in poche parole, Galileo è l’equivalente europeo del GPS statunitense. Iris è gestito in parte dalla Commissione, attraverso la neonata Direzione Generale per lo Spazio e la Difesa (DG DEFIS) e l’Agenzia per il programma Spaziale (Euspa).
Il programma per la connettività satellitare dovrà iniziare le operazioni già nel 2024, e sarà completamente attivo nel 2027. La gestione del programma sarà di tipo misto, attraverso partnership pubblico – private (note anche come PPP). Una gara è già stata aperta per l’appalto di lavori infrastrutturali: all’interno di IRIS2 saranno infatti presenti infrastrutture puramente governative, infrastrutture miste e una parte soltanto private. Anche la fornitura di servizi seguirà uno schema simile, con servizi cosiddetti HardGov, che riguardano la sicurezza nazionale LightGov, servizi pubblici ma in aree meno sensibili, che saranno gestiti in partnership con aziende private e servizi puramente commerciali. IRIS2 ha quindi da un lato l’obiettivo di garantire l’autonomia strategica e la sicurezza delle operazioni dei governi e delle istituzioni europee. Dall’altro, vuole fare da sponda per lo sviluppo di un mercato di servizi competitivo.
“A differenza di Galileo e Copernicus, è la prima volta che un elemento operativo del programma spaziale dell’UE viene stabilito nel contesto di un mercato commerciale già esistente e maturo, con operatori europei che stanno già sviluppando e servendo il mercato di internet satellitare – che si prevede raddoppierà tra il 2020 e il 2030 fino a raggiungere 20,6 miliardi di dollari”, si legge in un briefing dello European Space Institute, uno dei più prestigiosi centri di ricerca in ambito di politiche spaziali.
L’Europa sembra quindi pronta a lanciare un piano ambizioso di partnership pubblico-privata. Gli Stati Uniti dal canto loro, come si stanno comportando a fronte dei loro colossi tecnologici nazionali, primo fra tutti Starlink?
“Il governo degli Stati Uniti si trova di fronte a un dilemma. Starlink, un’impresa satellitare privata ideata e controllata da Elon Musk, offre capacità che nessun governo o altra azienda può eguagliare. Le sue innovazioni sono il frutto dello slancio e delle ambizioni di Musk. Ma si sono intrecciate con la politica estera e di sicurezza nazionale americana e Musk è visto da molti come un leader erratico a cui non si può affidare la sicurezza del Paese”, ha scritto su The Atlantic Steven Feldstein, senior fellow del Programma Democrazia, conflitti e governance del Carnegie Endowment for International Peace.
Dopo che l’utilizzo dei terminali e dei satelliti Starlink si è rivelato fondamentale per la resilienza delle reti ucraine a fronte dell’invasione russa, tra maggio e giugno del 2023, il Pentagono ha concluso un contratto con l’azienda di Musk per l’acquisto di terminali satellitari, da impiegare proprio nel conflitto russo-ucraino. Non sono noti i dettagli del contratto, ma Musk aveva precedentemente comunicato di non avere più le risorse per sostenere la connettività In Ucraina e aveva chiesto al Pentagono di farsi avanti per coprire i costi.
I piani di Pechino sono tra i più ambiziosi: la Cina sta pianificando di lanciare in orbita 13000 satelliti, con l’obiettivo esplicito di “soffocare” la supremazia di SpaceX. Secondo un paper, citato dal South China Morning Post, del professore dell’Università di Pechino Xu Can, il progetto (conosciuto al momento con il nome di GW, o Guowang, traducibile come “rete nazionale”) ha lo scopo di “garantire che il nostro paese abbia un posto nell’orbita terrestre bassa e impedire che la costellazione Starlink si impossessi di eccessive risorse”.
Ma perché esiste una competizione per l’accesso all’orbita? Se l’accesso globale a internet, sia per applicazioni civili che in contesti di guerra, è sempre più dipendente da infrastrutture spaziali, quali sono i rischi specifici a cui si va incontro?
In primis, esistono vulnerabilità di tipo cyber. Walter Peters, della London School of Economics, ha definito gli attacchi informatici ai danni di satelliti una “minaccia politica sottostimata”. Stati e società civile dipendono dai satelliti non solo per la connettività a internet, ma anche per servizi di posizionamento ormai diventati essenziali, come quelli derivati dal global positioning system (GPS).
La probabilità di attacchi e minacce cyber è aumentata con la crescente popolarità dei servizi satellitari commerciali, a cui, come abbiamo visto, si affidano anche stati e istituzioni internazionali.
“Spesso i produttori di satelliti utilizzano tecnologia off-the-shelf (cioè già pronta per l’utilizzo, ndr) per rendere i costi più ragionevoli. Alcuni di questi componenti possono essere presi in considerazioni da hacker alla ricerca di vulnerabilità nella tecnologia e nei software open-source. Le stazioni di terra che controllano i satelliti sono spesso gestite da computer con software vulnerabili a potenziali attacchi da parte di hacker. Pertanto, i cyber attacchi ai sistemi satellitari commerciali che forniscono servizi sono altrettanto significativi degli attacchi ai satelliti militari, anche se questo impatto non è considerato altrettanto ampiamente”, scrive Walters.
Esistono poi dei rischi più a lungo termine. L’aumento dei lanci commerciali significa aumento dell’affollamento orbitale. Al momento orbitano intorno alla Terra più di diecimila satelliti, 8500 dei quali ancora funzionanti. Vi sono poi più di 34000 oggetti catalogati come “residui” – in inglese si parla correntemente di orbital debris: si tratta di veri e propri rifiuti spaziali. Le stime sui residui più piccoli arrivano all’ordine di centinaia di milioni.
Secondo il World Economic Forum, “ognuno di questi frammenti di detriti rappresenta un rischio particolare per le migliaia di satelliti che attualmente operano nell’orbita terrestre bassa (low earth orbit) e che forniscono benefici cruciali alla vita sulla Terra. Nei prossimi anni è previsto il lancio di decine di migliaia di altri satelliti e quindi la minaccia di collisioni tra satelliti attivi e i detriti continuerà ad aumentare”. Quello delle collisioni orbitali è dunque un rischio insito in tutti i modelli di business o le strategie statali che prevedono la dipendenza da tecnologie satellitari.
Il caso di SpaceX in Ucraina, si può dire, ha fatto scuola. Kiev si è affidata a SpaceX per garantire la connessione internet durante l’invasione russa, specialmente per il dispiegamento di tecnologie militari e di sorveglianza. I rapporti tra Ucraina e Elon Musk si sono poi deteriorati (per via, tra le altre cose, della dichiarazione del miliardario sul “piano di pace” tra le parti in conflitto). Ma il ruolo decisivo dei satelliti privati in contesto geopolitico non è passato inosservato, specialmente in Asia orientale. Mentre crescono le tensioni con la Cina, il piccolo paese asiatico di Taiwan – storicamente alleato dell’Occidente contro la Cina – sta lavorando per assicurarsi connessione internet indipendente da Pechino. In caso di guerra con la Cina continentale, infatti, l’internet di Taiwan sarebbe completamente dipendente da una quindicina di cavi sottomarini, obiettivo facile da colpire e neutralizzare per l’esercito cinese.
Taipei sembra guardare oltre l’ovvia soluzione di una partnership con SpaceX: il governo taiwanese e l’azienda di Elon Musk hanno iniziato delle trattative già nel 2019, poi naufragate per via delle regole nazionali di Taiwan, che impongono che almeno il 51% dell’azienda sia di proprietà locale. Al momento, secondo quanto riportato da Fortune, “l’Agenzia spaziale di Taiwan (TASA) intende lanciare il suo primo satellite di comunicazione autoprodotto in orbita bassa nel 2026 e almeno un altro entro il 2028” – la testata cita le parole del direttore dell’agenzia, Wu Jong-shinn. Diversi giornali riportano anche che il governo di Taipei sarebbe in trattative con Amazon, per l’utilizzo del suo Project Kuiper.
In filigrana si intravede il grande scacchiere della corsa all’innovazione tra Cina e Stati Uniti. Le due potenze si stanno scontrando su vari fronti tecnologici: dai metalli rari, al machine learning e l’intelligenza artificiale generativa, fino ai computer quantistici. Per la supremazia in tutti questi campi, l’indipendenza della rete internet è fondamentale. Se certamente l’aspetto militare è preponderante, e gli stati giocano un ruolo primario, anche le aziende e i provider di servizi commerciali possono diventare ago della bilancia. Quello dell’internet satellitare è un mercato solido, e in espansione, che sta assumendo un ruolo geopolitico strategico. Le tensioni si vedranno probabilmente non solo tra stati nazionali, ma anche tra attori pubblici e attori privati globali.