Il 3 ottobre la Commissione Europea ha adottato una raccomandazione sui settori tecnologici critici che si inquadra nell’ambito della strategia comunitaria in materia di sicurezza economica.
Un passaggio importante, perché “la tecnologia è attualmente al centro della concorrenza geopolitica e l’UE vuole essere un player economico con una posizione solida che si basi su una valutazione comune dei rischi”: così ha dichiarato in conferenza stampa Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza.
Il contesto geopolitico
La natura della misura risiede, infatti, nella Joint Communication firmata a giugno da Bruxelles e dall’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che si fonda su tre pilastri fondamentali:
Le strategie che fanno bene al business e alla cyber security
- promozione della base economica e della competitività dell’UE;
- protezione dai rischi;
- partenariato con la più ampia gamma possibile di Paesi per affrontare preoccupazioni e interessi comuni.
Il bisogno di redigere prima un piano di sicurezza economico e poi una più vasta strategia comunitaria accompagnata dalle raccomandazioni, trova, dunque, impulso dalla necessità di agire come una singola entità non frammentata.
A tal proposito, ancor prima che si adottasse il piano per la sicurezza economica dell’UE, i Paesi Bassi avevano bloccato le esportazioni di tecnologia avanzata di microchip destinati alla Cina, sostenendo che avrebbero potuto essere utilizzati per scopi “indesiderabili”.
La decisione olandese, in questo senso, ha accelerato un tempestivo intervento legislativo da parte della Commissione Europea.
La raccomandazione nasce anche a causa delle crescenti tensioni politiche in atto con alcune nazioni, come Cina e Russia. La Commissione ha stilato un elenco di dieci settori tecnologici critici, selezionando solo quattro aree, sulla base dei seguenti criteri:
- abilitazione e trasformazione della tecnologia: il potenziale e la pertinenza delle tecnologie per portare ad aumenti significativi delle prestazioni e dell’efficienza e/o cambiamenti radicali per settori e capacità;
- il rischio di fusione civile e militare: la rilevanza delle tecnologie sia per i settori civili che militari e il suo potenziale per far progredire entrambi i compartimenti, nonché il rischio di usi di determinate tecnologie per minare la pace e la sicurezza;
- il pericolo che la tecnologia possa essere utilizzata in violazione dei diritti umani, compresa la limitazione delle libertà fondamentali.
Aree tecnologiche critiche: la raccomandazione UE
In virtù dei tre principi sopracitati, la Commissione Europea ha raccomandato agli Stati membri di effettuare delle valutazioni del rischio solo su quattro aree tecnologiche:
- tecnologie avanzate dei semiconduttori (microelettronica, fotonica, chip ad alta frequenza, attrezzature per la produzione di semiconduttori);
- tecnologie di intelligenza artificiale (cloud e edge computing, analisi dei dati, visione artificiale, elaborazione del linguaggio, riconoscimento degli oggetti);
- tecnologie quantistiche (quantium computing, crittografia, comunicazioni, rilevamento quantistico, radar);
- biotecnologie (tecniche di modificazione genetica, nuove tecniche genomiche, gene-drive, biologia sintetica).
Le quattro aree sono state scelte poiché considerate altamente suscettibili di comportare rischi più immediati. L’UE, tuttavia, si riserva la possibilità di proporre ulteriori valutazioni di rischio per le restanti sei categorie tecnologiche entro la primavera del 2024.
Ridurre la dipendenza tecnologica dell’UE
La selezione presentata fa parte di una strategia economica europea più ampia che ricomprende quella del “derisking”, introdotta dal Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen con l’obiettivo di ridurre la pletora di vulnerabilità e dipendenze che l’Unione ha accumulato con gli anni di libero mercato.
Originariamente, il “derisking” era stato proposto nel contesto delle relazioni UE-Cina che hanno avuto delle battute d’arresto a cusa della pandemia da Covid-19, della guerra russa in Ucraina e delle continue tensioni nello stretto di Taiwan.
Dunque, negoziare con la Cina può risultare difficile, considerando anche che il Paese controlla quote cruciali delle materie prime e dei prodotti manifatturieri che sono indispensabili per decarbonizzare e modernizzare l’economia – compresi pannelli solari, batterie, auto elettriche – e non ha scrupoli nel potenziare queste preziose catene di approvvigionamento per arricchire il suo sistema economico.
Allo stesso tempo, molti dei Paesi membri dell’UE mirano ad una strategia del “disaccoppiamento”, che comporta una separazione più drastica dalla Cina rispetto alla “riduzione del rischio”.
La questione di come proteggere queste tecnologie sarà quindi affrontata congiuntamente dalla Commissione e dai governi nazionali.
Le “valutazioni del rischio correttivo” saranno raccolte entro la fine dell’anno e la decisione su quale percorso intraprendere sarà effettuata in base ai risultati.
Il risk assessment condotto, dunque, sarà strettamente oggettivo e né i suoi risultati né eventuali misure di follow-up possono essere anticipate in questa fase.
A tal proposito, si possono individuare essenzialmente due risposte ai rischi: da un lato aumentare la produzione in Europa, cercare nuovi partenariati e quindi evitare la dipendenza da un unico paese per la supply chain; dall’altro imporre restrizioni alla condivisione della tecnologia con rivali come la Cina attraverso controlli sulle esportazioni o lo screening degli investimenti in uscita.
Valutazione dei rischi: difficoltà nell’implementare le misure
Tuttavia, il semplice fatto che Bruxelles parli apertamente dei flussi commerciali in termini di sicurezza nazionale riflette un cambiamento di pensiero in tutto il continente, dove i mercati aperti e le basse tariffe erano una volta visti come il preludio alla diffusione della democrazia liberale.
Questo approccio sembra essere svanito, quasi interamente, e sostituito con una visione in cui gli equilibri di potere dipendono dalla tecnologia, in quanto l’innovazione, la produzione e il commercio di tali strumenti critici rappresentano gli elementi più significativi della concorrenza nel mercato globale.
Piuttosto che separare le questioni relative alla sicurezza nazionale e all’economia nella sua strategia tecnologica, l’Europa ha quindi bisogno di specifici obiettivi di resilienza economica che mirano a limitare le dipendenze strategiche, a mantenere o espandere i margini tecnologici già esistenti e ad adattarsi così alle realtà geopolitiche in evoluzione.
Tuttavia, l’implementazione di tali misure risulta difficile dal punto di vista operativo, considerata anche la tempistica fissata dalla Commissione UE. Inoltre, le controversie interne agli Stati membri circa i rapporti commerciali già in essere con i Paesi extra UE rischiano di ridurre l’ambizioso progetto di Bruxelles e una sua efficace attuazione.
Tutto ciò viene aggravato dalle misure di controllo delle esportazioni che rientrano nell’ambito di competenza nazionale e, di conseguenza, nelle strategie di sicurezza da implementare.
Tale scenario potrebbe spingere l’UE a rafforzare le sue misure di difesa commerciale tramite strumenti anti-coercizione al fine di arginare le pratiche sleali e anticoncorrenziali – in primis gli embarghi imposti dalla Cina – che mettono pressione alle economie degli Stati membri.
Conclusioni
La mossa della Commissione rappresenta, dunque, un trampolino di lancio verso una maggiore sovranità tecnologica, anche se permangono dibattiti e speculazioni sulla sua concreta applicabilità.
Le vere intenzioni di Bruxelles e le sue fasi successive saranno, dunque, rivelate man mano che si svolgerà il processo di valutazione dei rischi.
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