Ogni quattro anni il GDPR deve passare, metaforicamente, dai box. A stabilirlo è l’art. 97 dello stesso Regolamento che prevede, come ricorderemo, dopo i primi due anni dalla piena applicazione e poi ogni quattro, una valutazione e un riesame da parte della Commissione, ponendo particolare attenzione su come è stato applicato e il suo funzionamento.
Ed ecco che, allo scadere dei quattro anni, considerando che la prima relazione è avvenuta, come previsione, nel 2020, ne giunge un’altra. Vediamo che dice in generale, per poi soffermarci sugli aspetti più rilevanti.
A distanzi di anni, ecco che riemerge un concetto fondamentale: il GDPR come “pietra angolare” della politica della UE per una società (sempre più) digitale.
Già dalla Relazione del 2020, nonostante il momento di estrema emergenza pandemico-sanitaria, con la sensazione che il mondo non fosse solo recluso ma anche apparentemente fermato, ecco che la Commissione si preoccupava, tra gli altri, di fare il punto sul GDPR, come imposto per legge.
L’obiettivo permane costante: un’applicazione coerente del quadro regolatorio per la protezione dei dati in relazione alle nuove tecnologie, a sostegno all’innovazione e agli sviluppi tecnologici.
Di qui, il via alla proliferazione normativa cui ancora oggi assistiamo con i cd “sette nani”: DSA, DMA, DGA, DORA, AI Act, NIS 2, CRA, e l’elenco sicuramente aumenterà.
In linea di principio, come evidenzia bene la Commissione, qualsiasi nuova normativa europea contenente disposizioni sul trattamento dei dati personali, va necessariamente coordinata con il GDPR, dovendo essere coerente con quest’ultimo e, non di meno, con la giurisprudenza della Corte di giustizia.
La strategia e la direzione sono chiare: creare un “mercato unico dei dati” creando “spazi comuni europei di dati” che agevolino la messa in comune, l’accesso e la condivisione dei dati. Il tutto, nell’ottica di potenziare la “libera circolazione dei dati” nella UE.
Il DGA, ad esempio, è un pilastro per la strategia per i dati, stabilendo dice la Commissione, “norme concrete sul riutilizzo dei dati del settore pubblico contenenti dati personali e predispone un quadro legislativo per i servizi di intermediazione dei dati, compresi i servizi di gestione di informazioni personali o i cloud di dati personali offerti al fine di consentire agli interessati di esercitare i loro diritti a norma del GDPR”.
Non solo, definisce poi le “condizioni quadro per l’utilizzo dei dati a fini altruistici”.
Idem, lo “spazio europeo dei dati sanitari” di recente elaborazione il quale riflette esigenze più specifiche, con riferimento ai dati sanitari, basandosi nel contempo anche sul GDPR.
In pratica, sarà possibile accedere più agilmente ai propri dati sanitari in formato elettronico e condividerli con gli operatori sanitari, anche in altri Stati membri, migliorando in tal modo l’assistenza sanitaria con un controllo maggiore sui propri dati personali (ex) sensibili/sensibilissimi da parte dei pazienti.
Oltre a predisporre un “quadro giuridico comune per il riutilizzo dei dati sanitari per finalità quali la ricerca, l’innovazione e la salute pubblica, sulla base di un’autorizzazione rilasciata da un organismo responsabile dell’accesso ai dati sanitari”, sì fornendo “un contesto affidabile” per l’accesso sicuro ai dati sanitari e per il loro trattamento.
È chiaro ed evidente che il proliferarsi normativo richieda una stretta cooperazione in tutti i settori normativi. Tale cooperazione è tanto più necessaria quanto le questioni pertinenti alla protezione dei dati si intersecano ad altre questioni come, ad esempio, in materia di concorrenza, diritto dei consumatori, sul codice delle comunicazioni elettroniche e non da ultimo con riferimento alla cybersicurezza.
Non a caso le Autorità garanti privacy adottano sempre più misure volte a garantire che le azioni tra loro siano “complementari e coerenti” con altri settori normativi, partecipando a seminari congiunti con la rete di cooperazione per la tutela dei consumatori.
Di qui, l’istituzione nel 2023 della task force sull’interazione tra protezione dei dati, concorrenza e tutela dei consumatori. Il tutto al fine di garantire un’adeguata cooperazione a livello nazionale, e non solo.
La relazione in questione si articola in diverse parti, come peraltro richiesto dal dettato normativo dell’art. 97 – GDPR.
Partendo dal meccanismo di cooperazione e coerenza trattato dal paragrafo 2, ponendosi dopo una parte introduttiva, e che tratta della “applicazione del GDPR e il funzionamento dei meccanismi di cooperazione e coerenza”, a sua volta suddiviso in due sottoparagrafi inerenti a una proposta di come “Rendere più efficiente la gestione dei casi transfrontalieri: la proposta relativa alle norme procedurali” nonché “una maggiore cooperazione tra le autorità di protezione dei dati e il ricorso al meccanismo di coerenza”.
In sintesi, si tratta del tema/sistema di applicazione di tipo “sportello unico” del GDPR che ricorderemo essere volto a “garantire un’interpretazione e un’applicazione armonizzate da parte delle autorità indipendenti di protezione dei dati”. Ciò per cooperare tra Autorità in caso di trattamento transfrontaliero.
A oggi la Commissione rende noto sul punto che occorrerebbe fare un “Maggiore ricorso agli strumenti di cooperazione da parte dei Garanti privacy” dal momento che:
Circa il meccanismo di coerenza, è emerso testualmente che:
Di qui un’applicazione più rigorosa secondo la Commissione come indicato nei seguenti punti:
Ancora, la Commissione si occupa di capire lo stato dell’arte circa l’attuazione di Comitati, e di come le varie Autorità di protezione dati si comportano in termini di “indipendenza e risorse” lamentando una sostanziale “difficoltà di gestione in considerazione dell’elevato numero dei reclami”. Non solo, si esprime anche sui problemi interpretativi del GDPR riscontrati e sempre da parte delle Autorità Garanti; così concludendo con un focus sulle interazioni tra titolari e responsabili del trattamento.
Sebbene il GDPR, essendo un regolamento, fosse direttamente applicabile, ha imposto nel tempo agli Stati membri di legiferare in determinati settori, offrendo loro “la possibilità di precisarne ulteriormente l’applicazione in un numero limitato di ambiti”.
Quando legiferano a livello nazionale, si legge nella relazione in questione, gli Stati membri devono farlo nel rispetto delle condizioni e dei limiti stabiliti dal GDPR.
Di qui, (il rischio di) una “frammentazione” dell’applicazione a livello nazionale da un lato, e il necessario monitoraggio della Commissione dall’altro.
Altro tema a cuore della Commissione nel pieno spirito del GDPR il quale mette da sempre al centro l’interessato con i suoi diritti (accesso, portabilità, di proporre reclamo ecc.) per poi concludere con la protezione dei dati dei minori.
Tutti temi importanti per i quali si rinvia direttamente alla relazione per ulteriori interessanti dettagli.
Per completezza, occorre ancora segnalare che la Commissione, sempre in virtù dell’art. 97 GDPR fa anche il punto sui “trasferimenti internazionali e la cooperazione globale”, soffermandosi non di meno sul tema delle decisioni di adeguatezza ovvero si richiama a quegli strumenti che forniscono “garanzie adeguate”.
Per il vero, la Commissione non si limita solo a questi aspetti, ma accenna altresì al tema della “cooperazione internazionale in materia di protezione dati”, rifacendosi alla “dimensione bilaterale” nonché “multilaterale”, cui si rinvia.
Da un certo punto di vista il cuore della Relazione in parola è dato, con la lente pratica e relative ricadute in concreto, dalle “opportunità e le sfide” per le imprese sub specie PMI.
Al riguardo, la Commissione tiene a soffermarsi sul “pacchetto di strumenti” e sulle specifiche “sfide”. Certo, senza dimenticarsi del DPO/RPD. Ma analizziamoli separatamente.
Il GDPR fornisce un “pacchetto di strumenti” che consentono alle organizzazioni di gestire in modo flessibile e dimostrare la loro compliance, grazie al ricorso a codici di condotta, meccanismi di certificazione e clausole contrattuali tipo – CCT.
Come ricorderemo, nel 2021 la Commissione ha adottato clausole contrattuali tipo con la decisione di esecuzione n. 915 che vede la possibilità – altamente suggerita – di conformarsi alle CCT nel disciplinare il rapporto tra titolare del trattamento e responsabile del trattamento.
Infatti, come leggiamo nella relazione la Commissione bene dice che “tali clausole contrattuali tipo forniscono uno strumento volontario di conformità pronto all’uso e di facile attuazione, che è particolarmente utile per le PMI o le organizzazioni che potrebbero non disporre delle risorse per negoziare contratti individuali con i loro partner commerciali”.
Tuttavia, da un attento ascolto e monitoraggio, sono emersi segnali/riscontri contrastanti sull’uso di tali CCT, nel senso che “alcune imprese (principalmente le PMI) le utilizzano in tutto o in parte, mentre altre (per lo più imprese di maggiori dimensioni) tendono a non utilizzarle perché preferiscono ricorrere alle proprie clausole”.
Sul fronte dei codici di condotta è emerso che le imprese abbiano visto le grandi potenzialità delle stesse, quale strumento di conformità settoriale ed efficace sotto il profilo dei costi.
Tuttavia, si legge nella relazione, “l’elaborazione di codici di condotta è limitata”, e specifica che finora “a livello della UE sono stati approvati solo due codici (entrambi nel settore del cloud), mentre a livello nazionale sono stati approvati sei codici” pensiamo a quelli approvati dal GPDP.
Ciò anche a causa di “prescrizioni gravose (tra cui la necessità di istituire un organismo di monitoraggio accreditato), la mancanza di impegno da parte delle autorità di protezione dei dati e un processo di approvazione lungo quali fattori principali che limitano l’adozione di codici di condotta”.
Per non parlare delle certificazioni, di fatto, non ancora partite.
Negli ultimi anni, i Garanti insieme al Comitato hanno continuato a sviluppare strumenti di compliance per le PMI. Nell’aprile 2023 il Comitato ha pubblicato una guida alla protezione dei dati per le piccole imprese, con l’intendo di fornire alle PMI informazioni pratiche in un formato accessibile e facilmente comprensibile.
In generale, molte PMI di fatto e la Commissione come si legge chiaramente nella relazione in disamina, percepiscono la compliance come una questione complessa, a maggior ragione che la maggior parte delle PMI non dispone al proprio interno di competenze in materia, le Autorità di controllo debbono “fornire un sostegno su misura e strumenti pratici, quali modelli (ad esempio per l’esecuzione di valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati), linee telefoniche di assistenza, esempi illustrativi, liste di controllo e orientamenti su specifiche operazioni di trattamento (ad esempio la fatturazione o l’invio di newsletter), nonché misure tecniche e organizzative”.
Ancora, sull’onere della tenuta del registro, in linea con l’approccio del risk based di cui al GDPR, le PMI che svolgono attività di trattamento a basso rischio, non sarebbero soggette a un onere del genere.
Tuttavia, si ritiene da sempre che sia un obbligo generalizzato, con la conseguenza che in concreto è bene che anche le PMI lo redigano anche grazie all’uso di “registri semplificati” basati su modelli forniti dalle Autorità di protezione dei dati, come quello messo a disposizione dalla nostra Autorità Garante.
Non poteva certo mancare un punto sullo stato dell’arte del (ruolo da) DPO.
I Responsabili della Protezione dei Dati – RPD o meglio conosciuti come Data Protection Officer – DPO svolgono un ruolo importante nel garantire il rispetto del GDPR in seno alle organizzazioni in cui operano. In generale, i DPO che operano nella UE dispongono di conoscenze e competenze necessarie per svolgere i loro compiti, nel rispetto della loro indipendenza e autonomia, stabilite per legge (artt. 37-39 GDPR).
Tuttavia, non mancano difficoltà in concreto nonché alcune sfide quali:
Su questi punti, il Comitato ha osservato che è necessario che le Autorità intensifichino le attività di “sensibilizzazione” o meglio di consapevolezza, oltre alle misure di informazione e applicazione delle norme al fine di garantire che i DPO svolgano con cognizione di causa il proprio ruolo e non si improvvisino.
Interessanti, da ultimo, appaiono le conclusioni cui la Commissione giunge.
Atteso il sostegno proattivo da parte delle Autorità garanti privacy, grazie agli sforzi ermeneutici coerenti con la normativa in tutta la UE, a vantaggio di una cooperazione efficace tra le Autorità per garantire un’applicazione uniforme del crescente insieme di norme dell’UE sul digitale, attesi anche i progressi ulteriori nella strategia internazionale in materia, ecco che per sostenere un’efficace applicazione del GDPR e orientare le riflessioni future sulla protezione dei dati, occorrono azioni ben mirate attinenti in particolare:
Aspettiamoci infine, forse nel 2025, un “GDPR 2.0”, si parla già da tempo di un restyling del famoso (primo) GDPR che ha ormai più di 8 anni.