ALLERTA SPOILER: Questo è il testo di accompagnamento al podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera che uscirà questo venerdì presso www.rsi.ch/ildisinformatico.
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.
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Una singola domanda a ChatGPT consuma grosso modo la stessa energia elettrica che serve per tenere accesa una lampadina comune per venti minuti e consuma dieci volte più energia di una ricerca in Google. La fame di energia dell’intelligenza artificiale online è sconfinata e preoccupante. Ma ci sono soluzioni che permettono di smorzarla.
Questa è la storia del crescente appetito energetico dei servizi online, dai social network alle intelligenze artificiali, del suo impatto ambientale e di come esiste un modo alternativo per offrire gli stessi servizi con molta meno energia e con molto più rispetto per la nostra privacy. Perché ogni documento, ogni foto, ogni testo che immettiamo in ChatGPT, Gemini, Copilot o altri servizi online di intelligenza artificiale viene archiviato, letto, catalogato, analizzato e schedato dalle grandi aziende del settore.
Benvenuti alla puntata del 30 agosto 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
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Una recente indagine pubblicata da NPR, una rinomata organizzazione indipendente non profit che comprende un migliaio di stazioni radio statunitensi ed è stata fondata dal Congresso degli Stati Uniti, fa il punto della situazione sulla nuova fame di energia dovuta al boom delle intelligenze artificiali.
Quando usiamo un servizio online di intelligenza artificiale, come ChatGPT, Copilot o Gemini, per citare i più diffusi, i complessi calcoli necessari per elaborare e fornirci la risposta non avvengono sul nostro computer, tablet o telefonino, per cui non ci accorgiamo di quanta energia viene consumata per restituirci quella risposta. Il nostro dispositivo non fa altro che prendere la nostra richiesta, inoltrarla via Internet a questi servizi, e ricevere il risultato, facendocelo vedere o ascoltare.
Ma dietro le quinte, le intelligenze artificiali online devono disporre di grandi data center, ossia strutture nelle quali vengono radunati computer appositi, dotati di processori dedicati all’intelligenza artificiale, che hanno dei consumi energetici prodigiosi. Secondo una stima riportata da NPR, una singola richiesta a ChatGPT usa all’incirca la stessa quantità di energia elettrica necessaria per tenere accesa una normale lampadina per una ventina di minuti. Immaginate milioni di persone che interrogano ChatGPT tutto il giorno, e pensate a venti minuti di lampadina accesa per ogni domanda che fanno a questa intelligenza artificiale.
Secondo un’analisi pubblicata dalla banca d’affari Goldman Sachs a maggio 2024, una richiesta fatta a ChatGPT consuma 2,9 wattora di energia elettrica, quasi dieci volte di più di una normale richiesta di ricerca fatta a Google (0,3 wattora) senza interpellare i suoi servizi di intelligenza artificiale. Questa analisi stima che il fabbisogno energetico mondiale dei data center che alimentano la rivoluzione dell’intelligenza artificiale salirà del 160% entro il 2030; serviranno circa 200 terawattora ogni anno solo per i consumi aggiuntivi dovuti all’intelligenza artificiale.
Per fare un paragone, il consumo annuo svizzero complessivo di energia elettrica è stato di 56 terawattora (Admin.ch). In parole povere: solo per gestire l’intelligenza artificiale servirà un’energia pari a quasi quattro volte quella consumata da tutta la Confederazione.
Questi data center attualmente sono responsabili di circa il 2% di tutti i consumi di energia elettrica, ma entro la fine del decennio probabilmente consumeranno dal 3 al 4%, raddoppiando le loro emissioni di CO2. Goldman Sachs segnala che negli Stati Uniti saranno necessari investimenti per circa 50 miliardi di dollari per aggiungere capacità di produzione di energia per far fronte all’appetito energetico dei data center.
In Europa, sempre secondo l’analisi di Goldman Sachs, la crescente elettrificazione delle attività e l’espansione dei data center potrebbero far crescere il fabbisogno energetico del 40% o più entro il 2033. Entro il 2030, si prevede che la fame di energia di questi data center sarà pari all’intero consumo annuale di Portogallo, Grecia e Paesi Bassi messi insieme. Per stare al passo, la rete elettrica europea avrà bisogno di investimenti per circa 1,6 miliardi di euro nel corso dei prossimi anni.
Queste sono le stime e le previsioni degli esperti, ma ci sono già dei dati molto concreti su cui ragionare. Google e Microsoft hanno pubblicato due confessioni energetiche discrete, poco pubblicizzate, ma molto importanti.
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Ai primi di luglio 2024, Google ha messo online il suo nuovo rapporto sulla sostenibilità delle proprie attività. A pagina 31 di questo rapporto si legge un dato molto significativo: l’anno scorso le sue emissioni di gas serra sono aumentate del 48% rispetto al 2019“principalmente a causa degli aumenti dei consumi di energia dei data center e delle emissioni della catena di approvvigionamento”, scrive il rapporto, aggiungendo che “man mano che integriamo ulteriormente l’IA nei nostri prodotti, ridurre le emissioni potrebbe essere impegnativo a causa dei crescenti fabbisogni energetici dovuti alla maggiore intensità dei calcoli legati all’IA” [“In 2023, our total GHG emissions were 14.3 million tCO2e, representing a 13% year-over-year increase and a 48% increase compared to our 2019 target base year. [...] As we further integrate AI into our products, reducing emissions may be challenging due to increasing energy demands from the greater intensity of AI compute, and the emissions associated with the expected increases in our technical infrastructure investment.”].
Fin dal 2007, Google aveva dichiarato ogni anno che stava mantenendo una cosiddetta carbon neutrality operativa, ossia stava compensando le proprie emissioni climalteranti in modo da avere un impatto climatico sostanzialmente nullo. Ma già nella versione 2023 di questo rapporto ha dichiarato invece che non è più così, anche se ambisce a tornare alla neutralità entro il 2030.
Anche Microsoft ammette che l’intelligenza artificiale sta pesando sui suoi sforzi di sostenibilità. Nel suo rapporto apposito, l’azienda scrive che le sue emissioni sono aumentate del 29% rispetto al 2020 a causa della costruzione di nuovi data center, concepiti e ottimizzati specificamente per il carico di lavoro dell’intelligenza artificiale.
E a proposito di costruzione di data center, Bloomberg fa notare che il loro numero è raddoppiato rispetto a nove anni fa: erano 3600 nel 2015, oggi sono oltre 7000, e il loro consumo stimato di energia elettrica equivale a quello di tutta l’Italia.
Distillando questa pioggia di numeri si ottiene un elisir molto amaro: l’attuale passione mondiale per l’uso onnipresente dell’intelligenza artificiale ha un costo energetico e un impatto ambientale poco visibili, ma molto reali, che vanno contro l’esigenza di contenere i consumi per ridurre gli effetti climatici. È facile vedere proteste molto vistose contro i voli in aereo, per esempio, e c’è una tendenza diffusa a rinunciare a volare come scelta di tutela dell’ambiente. Sarebbe ironico se poi chi fa questi gesti passasse la giornata a trastullarsi con ChatGPT perché non si rende conto di quanto consumo energetico ci stia dietro.
Per fare un paragone concreto e facile da ricordare, se quei 2,9 wattora necessari per una singola richiesta a ChatGPT venissero consumati attingendo alla batteria del vostro smartphone, invece che a qualche datacenter dall’altra parte del mondo, il vostro telefonino sarebbe completamente scarico dopo soltanto quattro domande. Se usaste delle normali batterie stilo, ne dovreste buttare via una ogni due domande.
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Ognuno di noi può fare la propria parte per contenere questo appetito energetico smisurato, semplicemente scegliendo di non usare servizi basati sull’intelligenza artificiale remota se non è strettamente indispensabile. Ma esiste anche un altro modo per usare l’intelligenza artificiale, che consuma molto, molto meno: si chiama tiny AI, ossia microintelligenza artificiale locale [locally hosted tiny AI].
Si tratta di software di IA che si installano e funzionano su computer molto meno potenti ed energivori di quelli usati dalle grandi aziende informatiche, o addirittura si installano sugli smartphone, e lavorano senza prosciugarne la batteria dopo quattro domande. Hanno nomi come Koala, Alpaca, Llama, H2O-Danube, e sono in grado di generare testi o tradurli, di rispondere a domande su vari temi, di automatizzare la scrittura di un documento, di trascrivere una registrazione o di riconoscere una persona, consumando molta meno energia delle intelligenze artificiali online.
Per esempio, una microintelligenza artificiale può essere installata a bordo di una telecamera di sorveglianza, su un componente elettronico che costa meno di un dollaro, e ha un consumo energetico trascurabile: meno dell’energia necessaria per trasmettere la sua immagine a un datacenter remoto tramite la rete telefonica cellulare.
Nella tiny AI, l’elaborazione avviene localmente, sul dispositivo dell’utente, e quindi non ci sono problemi di privacy: i dati restano dove sono e non vengono affidati a nessuno. Bisogna però cambiare modo di pensare e di operare: per tornare all’esempio della telecamera, invece di inviare a qualche datacenter le immagini grezze ricevute dalla telecamera e farle elaborare per poi ricevere il risultato, la tiny AI le elabora sul posto, direttamente a bordo della telecamera, e non le manda a nessuno: se rileva qualcosa di interessante, trasmette al suo proprietario semplicemente l’avviso, non l’intera immagine, con un ulteriore risparmio energetico.
Non si tratta di alternative teoriche: queste microintelligenze sono già in uso per esempio negli occhiali smart dotati di riconoscimento vocale e riconoscimento delle immagini. Siccome devono funzionare sempre, anche quando non c’è connessione a Internet, e dispongono di spazi limitatissimi per le batterie, questi oggetti devono per forza di cose ricorrere a un’intelligenza ultracompatta e locale.
Ma allora perché le grandi aziende non usano questa soluzione dappertutto, invece di costruire immensi datacenter? Per due motivi principali. Il primo è tecnico: queste microintelligenze sono brave a fare una sola cosa ciascuna, mentre servizi come Google Gemini o ChatGPT sono in grado di rispondere a richieste di molti tipi differenti e più complesse, che hanno bisogno di attingere a immense quantità di dati. Ma le richieste tipiche fatte dagli utenti a un’intelligenza artificiale sono in gran parte semplici, e potrebbero benissimo essere gestite da una tiny AI. Troppo spesso, insomma, si impugna un martello per schiacciare una zanzara.
Il secondo motivo è poco tecnico e molto commerciale. Se gli utenti si attrezzano con una microintelligenza propria, che oltretutto spesso è gratuita da scaricare e installare, crolla tutto il modello di business attuale, basato sull’idea di convincerci che pagare un abbonamento mensile per avere servizi basati sull’intelligenza artificiale remota sia l’unico modello commerciale possibile.
La scelta, insomma, sta a noi: o diventare semplici cliccatori di app chiavi in mano, che consumano quantità esagerate di energia e creano una dipendenza molto redditizia per le aziende, oppure rimboccarsi un pochino le maniche informatiche e scoprire come attrezzarsi con un’intelligenza artificiale locale, personale, che fa quello che vogliamo noi e non va a raccontare a nessuno i nostri fatti personali. E come bonus non trascurabile, riduce anche il nostro impatto globale su questo fragile pianeta.
Fonti aggiuntive: Ultra-Efficient On-Device Object Detection on AI-Integrated Smart Glasses with TinyissimoYOLO, Arxiv.org, 2023; Tiny VLMs bring AI text plus image vision to the edge, TeachHQ.com, 2024; Tiny AI is the Future of AI, AIBusiness, 2024; The Surprising Rise of “Tiny AI”, Medium, 2024; I test AI chatbots for a living and these are the best ChatGPT alternatives, Tom’s Guide, 2024.