Nella sede della Cgil di Torino tutto sembra fatto apposta per disorientare i visitatori. Lunghi corridoi tinteggiati con colori da corsia d’ospedale e decine di uffici tutti uguali. Poi, in una stanzetta al secondo piano, un murale con su scritto: “Non un passo indietro. Neanche per prendere la rincorsa”. Era la frase amata da Antonio Prisco, morto nel maggio del 2021, a 37 anni. Conosciuto come “il rider sindacalista”, Antonio è stato un punto di riferimento nella lotta per i diritti dei fattorini tanto nella sua città, Napoli, quanto nel resto d’Italia. Il suo nome appare anche nell’ordinanza del Tribunale di Bologna che ha condannato Deliveroo, una delle principali piattaforme che si occupano delle consegne di cibo a domicilio, al risarcimento del danno nei confronti delle sigle sindacali ricorrenti. L’assunto di base è che l’algoritmo per prenotare le sessioni di lavoro avesse carattere discriminatorio.
Chi domina le consegne a domicilio in Italia
“L’industria del food delivery” è un mercato che nel mondo – dati McKinsey del settembre 2021 – vale 150 miliardi di dollari. La sua storia è segnata da rapide ascese, rovinosi capitomboli, e grandi acquisizioni che hanno condotto a oligopoli più o meno assestati, e variano da Paese a Paese. In Italia, il settore delle consegne di cibo a domicilio è al momento dominato da quattro firme: Just Eat Takeaway, leader anche a livello europeo; la spagnola Glovo (che opera in Italia attraverso la società Foodinho, comprata nel marzo 2016); la britannica Deliveroo; e infine Uber Eats, divisione del colosso statunitense Uber (piattaforma che mette in collegamento autisti e passeggeri fornendo un servizio automobilistico privato). Queste piattaforme connettono fattorini e ristoranti, trattenendo una percentuale sul costo totale dell’ordine effettuato e portato a destinazione tramite l’applicazione. Funzionano in modo molto simile e la maggior parte di queste aziende considera i rider come lavoratori occasionali, o autonomi. L’unica eccezione è Just Eat che nell’estate del 2021 ha assunto circa seimila ciclofattorini come dipendenti a tempo indeterminato inquadrandoli nel settore della logistica.
Prisco ha fatto da teste per la Cgil di Bologna. Il provvedimento è datato 31 dicembre 2020. All’epoca Deliveroo usava un algoritmo per assegnare a ogni rider un punteggio e organizzare il lavoro che funzionava così: un giorno a settimana, il lunedì, i corrieri avevano l’opportunità di prenotare i propri turni di lavoro. Ma non tutti potevano accedere al calendario nello stesso momento. Erano previste tre fasce orarie: a partire dalle 11, dalle 15 e dalle 17. Chi iniziava più tardi aveva meno sessioni disponibili. La priorità era stabilita in base a due indici: “affidabilità” e “partecipazione nei picchi”. Inaffidabili erano i fattorini che riservavano un turno e poi non si presentavano sul luogo di lavoro entro i 15 minuti successivi al suo inizio. Poco partecipi quelli che non facevano abbastanza ore ad alta domanda, cioè quelle in cui i ristoranti prevedono molti ordini e che segnalano alle piattaforme. Le performance di ogni rider rispetto ai parametri in questione finivano in pasto all’algoritmo per calcolare quello che le sigle sindacali definiscono “ranking reputazionale”, cioè il suo punteggio: se era alto, sceglieva le sessioni al mattino, lasciando agli altri gli scarti. Sulla carta era anche possibile accedere ai turni con un sistema di “free log-in”, loggandosi in tempo reale senza prenotazione, ma, dall’istruttoria svolta durante il procedimento, “è emerso che il sistema del free log-in appare verosimilmente residuale – quanto meno in alcune realtà – giacché le prenotazioni potenzialmente coprono buona parte, se non la totalità, delle sessioni disponibili”. E il rider avrebbe potuto effettuare il log-in senza effettuare la prenotazione soltanto “se in zona c’è una sessione in corso disponibile”.
Il problema è che, nel considerare gli indici di affidabilità e partecipazione, l’algoritmo non teneva conto delle diverse ragioni che potevano aver portato il fattorino a saltare il turno. Nella sentenza del 2020 la giudice Chiara Zompi attribuisce all’algoritmo una condizione ben precisa: essere “cieco” (come definito dai ricorrenti) o comunque “incosciente” (come definito dall’azienda). Nello specifico, il Tribunale ha preso in considerazione l’eventuale partecipazione del lavoratore a uno sciopero e giudicato “l’adesione a un’iniziativa di astensione collettiva dal lavoro idonea a pregiudicare le statistiche” del rider. Il motivo è che se non avesse partecipato a una sessione prenotata, il suo punteggio sarebbe diminuito. L’unico modo che avrebbe avuto per evitare la penalizzazione sarebbe stato andare sul luogo di lavoro e “loggarsi”, cioè accedere all’app e connettersi alla piattaforma, il che – si legge nell’ordinanza – “appare incompatibile con l’esercizio del diritto di sciopero che consiste invece nella totale astensione dall’attività lavorativa”.
Stessa storia per la cancellazione del turno di lavoro prenotato con un preavviso inferiore alle 24 ore. L’azienda ha sempre negato che il dato potesse incidere sulle statistiche dei rider, ma senza fornirne prova, il che ha portato la giudice a ritenere che una cancellazione tardiva “non era priva di conseguenze”, anche se non è stato possibile verificarlo con certezza.
Da notare questo passaggio: “La mancata allegazione e prova da parte della società resistente del concreto meccanismo di funzionamento dell’algoritmo che elabora le statistiche dei rider preclude in radice una più approfondita disamina della questione”. Anche in questo caso, il rider avrebbe avuto un modo per evitare lo svantaggio: eliminando in tempo la prenotazione. Ma così – sottolinea la Dott.ssa Zompi – avrebbe messo “la piattaforma in condizioni di sostituirlo, annullando ogni effetto pratico della iniziativa di astensione collettiva e vanificando il diritto di sciopero costituzionalmente garantito anche ai lavoratori autonomi parasubordinati”. La giudice ritiene le considerazioni valide anche per altre ragioni, come malattie e motivi familiari.
Ed è proprio in questa “cecità o incoscienza” nei riguardi delle motivazioni sottese all’assenza del rider che – scrive – emerge la “potenzialità discriminatoria” dell’algoritmo, una discriminazione definita “indiretta” poiché conseguenza di un comportamento corretto in astratto, ma che in pratica determinava una situazione di disparità a svantaggio di una determinata categoria di lavoratori. Eppure, l’algoritmo era in grado di fare delle differenze e le avrebbe fatte se il fattorino si fosse infortunato durante una consegna o se l’app non avesse funzionato. “In sostanza, – conclude l’ordinanza – quando vuole la piattaforma può togliersi la benda che la rende cieca o incosciente rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è perché ha deliberatamente scelto di porre sullo stesso piano tutte le motivazioni, a prescindere dal fatto che siano o meno tutelate dall’ordinamento, diverse dall’infortunio sul lavoro e dalla causa imputabile all’azienda”. Non sarebbe, quindi, nel caso specifico, una questione di mancata capacità ma una scelta, secondo il provvedimento del Tribunale di Bologna.
Come si diventa rider e come funziona il lavoro
Diventare rider è semplice. Basta compilare un questionario online, guardare dei video, inviare i propri documenti e aspettare una risposta da parte dell’azienda. Per iniziare a lavorare il corriere deve installare sul proprio telefono un’applicazione, a cui accede con le credenziali che gli vengono fornite. Nel momento in cui il lavoratore è pronto a consegnare gli ordini, si connette alla piattaforma. Just Eat, avendo assunto i rider come dipendenti, prevede dei turni di lavoro. Deliveroo e Uber Eats lasciano, invece, il cosiddetto free log-in: ogni corriere può connettersi alla piattaforma, e fare le consegne, quando desidera. Glovo adotta un calendario: lunedì e giovedì il fattorino deve prenotare le proprie ore di lavoro per i giorni successivi. Ma non tutti possono farlo nello stesso momento. La priorità è data ai rider che hanno un punteggio più alto, stabilito da un algoritmo in base a determinati parametri. Il risultato è che chi è in cima alla classifica può scegliere le ore in cui ci sono più ordini e, quindi, si guadagna di più.
I rider di Just Eat sono pagati a ora. Mentre le altre compagnie prevedono un “compenso minimo per consegna” che consiste in un “compenso minimo per una o più consegne determinato sulla base del tempo stimato per l’effettuazione delle stesse. Tale compenso è equivalente a euro 10,00 (dieci/00) lordi l’ora. Nel caso in cui il tempo stimato dalla piattaforma per le consegne risultasse inferiore a un’ora l’importo dovuto verrà riparametrato proporzionalmente ai minuti stimati per le consegne effettuate”. In pratica, pagano a prestazione sulla base dei calcoli fatti dall’azienda che stabilisce quanti minuti il rider dovrebbe impiegare per portare un pasto dal locale al cliente, valutando parametri non meglio specificati e senza tener conto del tempo di attesa tra un ordine e l’altro.
L’algoritmo di un’altra importante azienda del settore, Glovo, è finito sotto la lente di autorità italiane. È accaduto con l’ordinanza con cui il Garante della privacy italiano ha deciso una sanzione da 2,6 milioni di euro per Foodinho srl, società attraverso cui Glovo opera nel nostro Paese. L’ordinanza parla di “gravi illeciti” riguardo agli algoritmi utilizzati. Le richieste sono: “individuare misure per tutelare i diritti e le libertà dei rider a fronte di decisioni automatizzate, compresa la profilazione”, “verificare la pertinenza e l’esattezza dei dati usati dal sistema”, impedire “utilizzi impropri o discriminatori dei meccanismi reputazionali basati sul feedback dei clienti e dei partner commerciali”.
Le ragioni: l’azienda spagnola – dichiara a Guerre di Rete Guido Scorza, componente del collegio del Garante – non avrebbe adeguatamente informato i rider sul funzionamento degli algoritmi, non avrebbe garantito la correttezza e l’esattezza dei loro risultati, né tantomeno procedure adeguate per far valere il diritto del lavoratore di chiedere l’intervento di un essere umano e di contestare le decisioni prese in modo automatizzato, tra cui anche il blocco dell’account e quindi in pratica il licenziamento. Era il 5 luglio 2021 e l’autorità dava a Glovo 60 giorni di tempo per “avviare le misure necessarie” e 90 per “completare gli interventi sugli algoritmi”.
L'organizzazione del lavoro: il ruolo degli algoritmi
L’organizzazione del lavoro dei corrieri (e, nel caso di Uber Eats, Glovo e Deliveroo, anche i pagamenti delle consegne), è affidata a degli algoritmi cioè a indicazioni che dicono alle macchine di processare diversi dati con l’obiettivo di ottenere determinati risultati. Le ripercussioni di questo tipo di “management” sui lavoratori le rileva la Commissione europea in un report del 2021: “Incentiva i comportamenti rischiosi, aumenta lo stress, riduce il bilanciamento tra lavoro e vita privata, la stabilità salariale e l’autonomia”, sbilanciando i rapporti di forza a netto favore delle aziende in termini di “sorveglianza, controllo, e mancanza di accountability (cioè la difficoltà che si ha nel rendere queste imprese responsabili del loro operato, ndr)”. Si tratta di una pratica quasi del tutto non regolata – precisa la Commissione – e che pone diversi problemi. Questi strumenti possono determinare discriminazioni dovute a diversi fattori, come i dati presi in considerazione e le indicazioni seguite. Parte del problema è che di come funzionino gli algoritmi usati dalle aziende sappiamo poco o nulla. Alle richieste di maggiore trasparenza, le piattaforme di consegne di cibo a domicilio, oppongono lo scudo del segreto industriale. Forniscono solo indicazioni generiche sui parametri utilizzati, impossibili da verificare con un’analisi indipendente.
Fare il punto su come abbiano reagito le piattaforme non è facile. Sempre questione di trasparenza, che manca. Quel che si sa è che quando il Tribunale di Bologna aveva preso la sua decisione sull’algoritmo per il calcolo del punteggio, il sistema di prenotazione delle sessioni adottato da Deliveroo era già cambiato. Oggi, fatta eccezione per alcuni piccoli centri, l’azienda lascia ai rider il cosiddetto free log-in: ognuno può andare online, e quindi lavorare, nel momento in cui ne ha voglia. Rimane anche la possibilità di scegliere le proprie ore di lavoro selezionandole su un calendario che però – assicura l’azienda – è senza statistiche. I lavoratori continuano a lamentare meccanismi di penalizzazione e ancora una volta il problema è l’impossibilità di verificare. Glovo, invece, nel momento in cui scriviamo avrebbe impugnato l’ordinanza del Garante, secondo quanto ci riferiscono fonti dell’autorità italiana a tutela della privacy. Il processo è in corso al Tribunale di Milano e si attende la sentenza di primo grado. Nel frattempo, la società ha modificato i parametri adottati dal proprio algoritmo, motivando il cambiamento con la scelta di seguire i “suggerimenti proposti dai rider nelle varie città”.
“Nuovo punteggio di eccellenza”, è il titolo di una pagina sul sito dell’azienda dedicata ai fattorini comparsa di recente, senza molta pubblicità. La pagina non riporta data di pubblicazione, ma – stando a un’analisi del codice sorgente – sarebbe online dal 28 febbraio 2022. Cos’è cambiato? Le variabili prese in considerazione dall’algoritmo di Glovo al momento dell’ispezione del Garante, riportate nell’ordinanza, erano queste: punteggio assegnato dall’utente (15 per cento), punteggio assegnato dal partner (cinque per cento), la scelta di ore ad alta domanda purché il rider ne abbia selezionate almeno cinque per sette giorni consecutivi (35 per cento), ordini effettivamente consegnati (10 per cento).
Un altro parametro che pesava per il 35 per cento era la produttività che inglobava il numero di consegne proposte al lavoratore, la loro accettazione entro 30 secondi, e il check-in, cioè l’accesso alla piattaforma dal luogo di lavoro entro pochi minuti dall’inizio della sessione prenotata. Adesso – dichiara la piattaforma – le valutazioni dei clienti influiscono solo per il sette per cento e sembra siano scomparse quelle dei partner. Ridotta anche la percentuale legata alla mancata presentazione, che scende al cinque per cento, mentre diventano ancora più importanti le ore ad alta domanda. Il fattorino che vuole avere il massimo in questo parametro deve sacrificare tre fine settimana su quattro.
Il dato più valutato rimane il numero totale di ordini completati. Il punteggio non va più da 0 a 100, ma da 0 a 5, e non considera più gli ultimi 28 giorni, ma gli ultimi 28 giorni in cui il rider ha prenotato almeno un’ora di lavoro. Viene assegnato subito, non più dopo 50 ordini, e le attività più recenti hanno maggiore importanza. Ora una prestazione non incide allo stesso modo su corrieri diversi – precisa Glovo sul proprio sito -, per cui per esempio un giudizio negativo da parte di un cliente influenza le statistiche in modo diverso se il rider che l’ha ricevuto ha fatto una sola consegna, oppure dieci. I cambiamenti sembrano in parte andare nella direzione tracciata dal Garante, anche se la prenotazione delle ore di lavoro e l’accesso scaglionato al calendario sulla base della classifica, per ora, resistono.
Per l'80 per cento dei rider italiani il reddito incassato è “essenziale”
Non sappiamo quale sia l’esatto numero di persone che in Italia fanno i rider. Tutto ciò che possiamo avere è un’idea di massima. La ricerca più aggiornata è stata presentata da Inapp-Plus a gennaio 2022. I dati: nel nostro Paese, i lavoratori delle piattaforme digitali sono 570.521, l’1,3 per cento della popolazione tra i 18 e i 74 anni, per tre quarti uomini e con un’età compresa tra i 30 e i 49 anni. I rider ne sono la componente più visibile e importante, ma non la sola: c’è chi, tramite app, fa servizi domestici, consegna pacchi e pacchetti, e svolge micro-compiti online. L’aspetto più interessante dell’analisi è che rispetto al 2018 la quota di persone che dichiarano “essenziale e importante” il reddito incassato grazie alle piattaforme è salita “enormemente”, balzando dal 49 per cento all’80 per cento.