Stavolta nella rete di Piracy Shield, la piattaforma nazionale antipirateria, ci è finito un pesce grosso. Grossissimo: Google. Nella serata di sabato 19 ottobre un ticket caricato sul sistema adottato dall’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) per debellare lo streaming illegale ha bloccato un dominio critico di Drive, il servizio web di Big G utilizzato per archiviare e condividere dati in cloud, e una delle cache di Youtube. Due risorse che, ovviamente, non hanno niente a che vedere con la trasmissione pirata di partite di calcio e altri sport, che è ciò di cui Piracy shield si dovrebbe occupare, ma che dimostra per l’ennesima volta come la tecnologia regalata dalla Serie A ad Agcom finisca per asfaltare siti innocui. Arrivando a pestare i piedi persino a Google.
Ricostruiamo i fatti. Almeno dalle ore 18.56 del pomeriggio di sabato, come dimostrato da una fonte a Wired attraverso alcune analisi, Piracy shield fa scattare il blocco dell’indirizzo drive.usercontent.google.com. Come spiega la stessa Google, è uno dei domini critici per Drive. L’oscuramento attuato dalla piattaforma nazionale antipirateria impedisce di raggiungerlo e, di fatto, di poter effettuare i download dei file archiviati su Drive. Wired ha potuto verificare su Piracy shield search, un progetto di condivisione pubblica dei domini oscurati fornito da Infotech srl, l'effettivo blocco del dominio.
Il picco di segnalazioni di interruzioni su Downdetector, un sito che raccoglie alert su problemi con i servizi online, a partire dalle 19 dimostra che, man mano che le persone provano a connettersi a Drive, riscontrano l’inaccessibilità del portale. Un problema per singoli utenti, aziende, ma anche scuole e università che si appoggiano a Google Workspace, gli ambienti di lavoro condiviso messi a disposizione per imprese e mondo dell’istruzione. Basti pensare che i sistemi di intelligenza artificiale che il ministro dell’Istruzione ha deciso di sperimentare in alcune scuole italiane viaggiano proprio sui Workspace di Google.
Un picco di segnalazioni che, in parallelo, si riflette specularmente anche su Youtube. Perché, come Wired ha potuto verificare, nel mirino del sistema di Agcom è finita anche una cache della piattaforma di video, sempre di casa Google.
Ma come è possibile che la piattaforma nazionale antipirateria abbia oscurato due domini di uno dei colossi del web e che peraltro di recente si era reso disponibile a collaborare con Agcom contro le tv pirata (il cosiddetto pezzotto)? Semplice: perché ogni denuncia che i detentori dei diritti sportivi caricano su Piracy Shield si porta dietro lunghe liste di domini da bloccare. Dove spesso finiscono risorse estranee alla pirateria online.
Dopo che la segnalazione è stata caricata, Piracy Shield invia in automatico un alert ai fornitori di servizi internet (internet service provider, Isp), che stando alla legge che ha istituito la piattaforma, la 93 del luglio 2023, hanno 30 minuti di tempo per bloccare il sito. Operazioni che, giocoforza, gli Isp devono compiere in automatico. Esiste una whitelist di risorse online da non abbattere, per nessun motivo, e che come Wired ha scoperto, contiene 11mila elementi. A valle di quanto successo con Drive e Youtube, viene dunque da pensare che però, tra questi, non vi siano alcuni dei più importanti sotto-domini di uno dei più grandi colossi mondiali della tecnologia. E chissà quali altre risorse mancano da quell'elenco, su cui è stata imposta la massima segretezza.
A quanto apprende Wired da diverse fonti impegnate nel controllo delle conseguenze del blocco di Drive effettuato da Piracy Shield, solo Tim e Wind3 al momento hanno eliminato il dominio di Drive dalla lista delle risorse da oscurare e ripristinato l’accesso. Secondo altre fonti, invece, lo sblocco su rete Tim non sarebbe però attivo. Chi invece prova ad accedere con i servizi di altri operatori di rete, al momento non riesce a collegarsi. E, in taluni casi, visualizza anche l’avviso di Agcom che segnala che il sito è stato reso inaccessibile proprio dalla piattaforma antipirateria. Giulia Pastorella, deputata di Azione, ha anticipato che lunedì 21 ottobre presenterà una interrogazione parlamentare in merito e richiederà una convocazione di Agcom.
Stando alle regole dell’Autorità garante delle comunicazioni, il proprietario di un dominio erroneamente bloccato ha cinque giorni di tempo per fare ricorso contro il blocco e chiedere il ripristino del dominio. Dato il clamore del marchiano errore e il peso di una delle più grandi multinazionali del web, è facile che Agcom dovrà tornare sui suoi passi senza troppe storie. Wired ha interpellato Google in Italia, che al momento tuttavia non si esprime sull’eventualità di fare ricorso poiché ancora impegnato a ricostruire le conseguenze dell’incidente. Google al momento ha le mani legate: pur avendo ruotato gli indirizzi Ip, si ritrova con il dominio bloccato.
Peraltro lo sblocco arbitrario effettuato da alcuni Isp potrebbe essere passibile di sanzione, secondo il quadro di regole entro cui si muove Piracy shield. Quello che è successo al dominio di Drive è un fenomeno purtroppo comune a tanti altri siti, penalizzati perché condividono il dominio con un sito accusato di streaming illegale. E che non vengono avvertiti del problema, rischiando di perdere la finestra di tempo per fare ricorso.
Da tempo esperti di informatica e Wired stessa hanno sollevato il problema dell’inattualità della piattaforma progettata dal ramo tech dello studio Previti, la società Sp Tech, e “regalata” ad Agcom dalla Lega Serie A, che sembra però progettata senza tenere conto di come funziona internet.
Nei giorni scorsi alcuni emendamenti al disegno di legge omnibus, a firma di parlamentari di Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno introdotto una stretta alla pirateria online che allarga lo spettro di azione di Piracy shield. La piattaforma antipirateria potrà spegnere gli indirizzi Ip anche quando l’attività fuorilegge è “prevalente” sul resto delle risorse che vi appoggiano e non solo quando la destinazione criminosa è “univoca”. Chissà se, dopo lo schianto di Google Drive, qualcuno valuterà un passo indietro.
[articolo aggiornato alle ore 00.50 di domenica 20 ottobre con l'integrazione del blocco della cache di Youtube]